Il bisogno di essere perfetti
Attualmente, nella società in cui viviamo, ognuno di noi viene costantemente esortato a migliorare le proprie prestazioni al fine di ottenere risultati sempre migliori: questo vale in campo lavorativo, nello studio, ma anche nelle relazioni sociali, nella cura del proprio aspetto fisico, ecc.. Fin da piccoli, la maggior parte di noi, impara che per ottenere l’approvazione degli altri, è necessario soddisfare certi standard di comportamento.Oltre a tali pressioni esterne, molte persone percepiscono anche un forte impulso interiore a raggiungere o mantenere determinati livelli di rendimento. Ma in questi casi si può parlare di perfezionismo o solo di sano desiderio di migliorarsi che, molte volte, può rivelarsi funzionale al raggiungimento di importanti obiettivi di vita? Si parla di perfezionismo patologico quando si assiste a un' esagerata preoccupazione di commettere errori, alla presenza di insicurezza e di aspettative critiche eccessive. Inoltre, il perfezionismo può essere autodiretto quando l’autoimposizione di standard eccessivamente severi sono associati all'incapacità di accettare i propri errori; in caso di eventi particolarmente negativi, questo atteggiamento può portare anche a problemi di depressione.
In altri casi, il perfezionismo viene definito eterodiretto quando si assiste alla richiesta di totale adeguamento altrui ai propri standard di comportamento: in queste persone, sono frequenti vissuti di intensa rabbia, aggressività e conseguenti difficoltà relazionali. Il perfezionismo patologico, in molti casi, può essere alla base di disagi psicologici, come ansia sociale o ansia generalizzata, disturbi depressivi, vissuti di rabbia e aggressività, difficoltà relazionali, ossessioni e compulsioni, comportamenti alimentari disfunzionali.
Perfezionismo sano vs perfezionismo patologico
Il perfezionismo sano si riconosce perché la persona è felice, serena e si vive in modo naturale dei sentimenti di gioia, quando raggiunge il propri obiettivi. Nel perfezionismo sano troviamo sempre una sfida con se stessi ma questa sfida porta alla completa accettazione di se stessi e non ad una continua critica interiore. Nel perfezionismo sano la sfida è con se stessi non è per essere riconosciuti da qualcuno o ricercare l’amore e l’ammirazione altrui, ma solo come crescita personale. Nel perfezionismo malato invece si risconta una costante ed immutevole insoddisfazione sempre e comunque. La persona non è capace di rilassarsi mai non è mai soddisfatto perché c’è sempre da fare meglio. Il problema fondamentale che attanaglia la mente del perfezionista patologico è che quello che fa non la fa per se stesso ma per un ipotetico giudice. Tale giudice però ha standard irraggiungibili, per questo è altamente frustrante.
Ma da cosa dipende questa inarrestabile sete di perfezione?
In psicologia non esiste una vera e propria sindrome “del perfezionismo” classificata nei manuali, ma questo meccanismo è stato a lungo studiato poiché molto ricorrente soprattutto nei soggetti ossessivi.
Si può arrivare ad ipotizzare che il perfezionista riversi l’ansia che deriva da conflitti interni irrisolti in oggetti/situazioni concrete dove ha l’aspettativa di ottenere il risultato desiderato, controllandoli e dominandoli.
Ottenere il massimo in una determinata situazione ha la funzione psicologica di alleviare l’ansia derivante da un conflitto interno, che, in questo modo non viene risolto, ma semplicemente “tenuto a bada”. Per questo motivo qualsiasi successo ottenuto nelle situazioni in cui il perfezionista si cimenta non genera mai soddisfazione perché non placa definitivamente l’ansia anzi avrà immediatamente bisogno di riversarsi in una nuova sfida. Il perfezionista passerà la sua vita a cercare di raggiungere mete irraggiungibili, a sfidare se stesso in innumerevoli prove, con il vero obiettivo di non fermarsi mai a guardarsi dentro per comprendere qual è la vera origine di questa sua “smania di conquista”. Spesso nella sua vita esistono solo poche cose in cui si cimenta davvero (il lavoro per esempio, o un particolare sport, o qualsiasi altra cosa dove ci siano delle mete da raggiungere..). Da queste cose è totalmente assorbito, come fosse una questione di vita o di morte. Pensate all'esasperante ricerca di perfezione nei casi di anoressia. Paradossalmente, spesso, anche chi ingrassa è un perfezionista assoluto, passa il tempo a controllarsi per evitare qualsiasi smagliatura nel proprio comportamento. Si impone di essere un genitore perfetto, un lavoratore inappuntabile, un amico generoso e così facendo si carica di troppe responsabilità e doveri, dimenticando così del tutto gli altri desideri e la spontaneità. Il nostro Io si ribella ad un atteggiamento mentale direttivo, pieno di imposizioni e di doveri. Chi ingrassa spesso conduce la propria vita all'insegna dell’eccessivo autocontrollo.
Cosa si può fare?
Accettare i propri limiti e “fare pace” con se stessi e le proprie imperfezioni, liberandosi dalle aspettative degli altri (in particolare quelle del contesto familiare) rappresenta un primo passo importante per superare questa patologia, che deve però essere unito a un profondo lavoro su se stessi, volto a mettersi in discussione e comprendere a fondo i propri conflitti interni che generano l’ansia. Bisogna inoltre non colpevolizzarsi e lasciare che affiorino, poco alla volta, quei lati di noi che abbiamo dimenticato e soffocato.
Ogni giorno ci dobbiamo chiedere: cosa ho fatto oggi per me per rendermi felice?
Bisogna iniziare dalle piccole gratificazioni per cominciare ad imparare che è legittimo pensare al proprio benessere e al proprio piacere.
Fonte: “Nessuno è perfetto. Strategie per superare il perfezionismo.”, di M.M Antony e R.P. Swinson, edizioni Eclipsi.
AUTRICE: Angela Merangoli (Psicologa clinica e sportiva)
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