ANSIA e SPORT: quando e come intervenire?
Tutti noi nella vita abbiamo sperimentato un po’ d’ansia, chi a un esame, chi a un colloquio, chi ad un incontro importante e via dicendo. Il nodo alla gola, il cuore che accelera, la sudorazione, i tremori e altri simpatici sintomi ci portano a sperimentare una condizione estremamente fastidiosa a cui non vediamo l’ora di porre fine.
CHE ANSIA!
L’ansia è un tema spesso ricorrente anche nello sport, soprattutto quando si parla di competizioni. Ecco perché in questo articolo cercherò di fornire qualche conoscenza in più sull’argomento.
Innanzitutto, bisogna dirlo: l’ansia non è di per sé un male!
L’ansia, strano ma vero, è uno stato di per sé utile e adattivo! Nella sua condizione normale, infatti, è uno stato di allerta, di attivazione, che ci serve a richiamare tutte le nostre risorse psichiche e fisiche per affrontare un ostacolo.
Quando si va ad un esame, o ad un colloquio di lavoro, o ad una competizione, l’ansia serve per stare attivi, pronti a rispondere, per avere una buona performance! Questo spesso suona piuttosto strano, perché l’ansia porta con sé un certo grado di disagio: nessuno ama grondare di sudore o fare fatica a parlare per il nodo alla gola. Tuttavia, è proprio grazie a questa attivazione che ci prepariamo bene ad affrontare le situazioni importanti, che tanto temiamo.
Senza l’ansia, paradossalmente, nella maggior parte dei casi avremmo una performance peggiore.
In altri termini, avvertire un certo grado di disagio, quando si sta sperimentando una condizione di ansia, è normale e fa bene, ci aiuta. Ridurlo vorrebbe dire peggiorare in termini di performance!
Il modello di Yerkes e Dodson
Questi concetti sono ben spiegati dalla teoria di Yerkes e Dodson (1908). Questi autori hanno infatti evidenziato come, all’aumentare della nostra attivazione, aumenti anche la nostra performance, secondo una curva “a campana”.
Una volta raggiunto il picco (che coincide con un livello di attivazione ottimale), l’intensità raggiunge uno stato eccessivo, che comporta uno scadimento della performance (ed ecco la restante linea della curva).
Secondo questo modello, quindi:
- Livelli intermedi di attivazione favoriscono livelli elevati di prestazione (livello ottimale di prestazione)
- Bassi livelli di attivazione (es. prendersela troppo tranquillamente, dormire, essere stanchi): mobilitazione insufficiente delle energie e quindi bassa prestazione
- Alti livelli di attivazione (sintomi evidenti): eccessiva mobilitazione di energie e quindi bassa prestazione
Ma come si fa a sapere quando si hanno bassi o alti livelli di attivazione? Come mai di fronte ad uno stesso stimolo alcune persone hanno ottime performance e altri no?
Come avrete notato, infatti, di fronte ad una stessa situazione, non tutti vanno in ansia. C’è chi si allerta subito, con poco, e chi per provare qualche brivido di attivazione necessità di situazioni di estremo pericolo.
A ciascuno la sua ansia
Proprio per questo, in psicologia, a partire da approcci di tipo “generale”, che cercavano di spiegare il comportamento “dell’essere umano”, si è passati sempre più a cercare di capire come funziona il singolo.
Nell’ambito della psicologia dello sport, in particolare, si è passati a studiare il funzionamento del singolo atleta, cercando di delinearne un profilo di attivazione.
Un modello di riferimento, in psicologia dello sport, è quello delle Zone Individuali di Funzionamento Ottimale (Individual Zones of Optimal Functioning; IZOF) proposto da Hanin (1995) secondo il quale ogni atleta possiede la sua zona ideale di ansia in cui riesce a realizzare prestazioni ottimali.
E’ come se ciascuno avesse una specifica curva a campana di funzionamento come quella appena illustrata sopra. C’è chi ha la curva posizionata più a sinistra (basta poca attivazione per ottenere il picco) e chi la ha più a destra (e necessita di livelli elevati di attivazione per ottenere il picco).
L’acronimo IZOF, infatti, sta per:
- Individual: ognuno ha una propria zona di funzionamento ottimale.
- Zones: non esiste un singolo valore di attivazione ottimale ma un range in cui si ottiene la prestazione migliore;
- Optimal Functioning: in corrispondenza di questo range di attivazione ottimale si ha il raggiungimento della prestazione più elevata.
Fondamentale, quindi, quando si parla di ansia, è capire come funziona ciascun atleta nel dettaglio.
A determinare dove si colloca il livello di attivazione ottimale, per ciascuno, sono tanti fattori: ci sono in gioco le caratteristiche personali dell’atleta (come cognitivamente si valuta uno stimolo, che tipo di temperamento si ha etc.), ma anche le caratteristiche della disciplina praticata e del tipo di gara o competizione. Altri modelli, in psicologia dello sport, hanno anche spiegato le variazioni che si possono verificare nel corso di una competizione rispetto all’ansia (Reversal theory di Kerr, 1990) o gli stati che si possono avvertire a seconda della difficoltà del compito (Modello del flow, Czikszentmihalyi, 1975, 1990).
Cosa si può fare?
Come appena spiegato, per lavorare sull’ansia, è necessario in primis capirne la natura e le manifestazioni. Per fare ciò è possibile rivolgersi ad uno psicologo dello sport, il quale potrà individuare insieme all’atleta il suo specifico funzionamento, il tipo di ansia, ma anche le sue manifestazioni (i sintomi specifici), attraverso l’impiego di colloqui e questionari. Una volta identificato il tipo di ansia e le circostanze che la elicitano, potranno essere impiegate una serie di tecniche di mental training volte ad affrontare la situazione. Una bassa performance, come identificata dai modelli evidenziati, può essere dovuta ad un’attivazione troppo bassa (e allora si useranno tecniche per aumentarla), o da un’attivazione troppo elevata (e allora si opterà per esercizi che possano diminuirne l’intensità). L’obiettivo sarà sempre quello di ricercare e creare l’attivazione ottimale che consentirà all’atleta di massimizzare la propria performance.
Elena Cernuschi – Psicologa dello Sport
Sito Internet: http://www.motivatamente.com/
- Hanin, Y. L. (1980). a study of anxiety in sports – in w.f. straub (ed), sport psychology: an analysis of athlete behavior (236-249).
- Hanin, Y. L. (1997). emotions and athletic performance: individual zones of optimal functioning model. european yearbook of sport psychology, 1, 29-72.
- Hanin, Y. L. (2000). individual zones of optimal functioning (izof model: an idiographic approach to performance anxiety). in sport psychology: an analysis of athlete behaviour, eds. k.p. henschen, w.f. straubpp. 103-119.
- Hanin, Y. L. (2000b). individual zones of optimal functioning (izof) model: emotion-performance relationships in sports. emotions in sport, ed- y.l. hanin pp- 65-89.
- Hanin, Y. L. (2003) performance related emotional states in sport: a qualitative analysis. forum qualitative sozialforschung / forum: qualitative social research [on-line journal], 4
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