RPE (Rate of Perceived Exertion)
RPE è un concetto introdotto verso la fine degli anni 50’ Gunnar Borg un ricercatore che voleva quantificare col suo esperimento l’intensità dello sforzo con un metodo che fosse quanto più accurato possibile.
Durante gli studi elaborò la cosiddetta “Scala di Borg” che serviva come punto di riferimento per registrare l’intensità dello sforzo durante l’esercizio. Borg ipotizzò che l’intensità come noi la intendiamo non era sempre percepita dal corpo umano come è calcolata dalle formule, infatti essendo il corpo una macchina biologica entrano in gioco fattori multipli a rendere la misurazione quantificabilmente vana. Basti pensare che, rifacendoci all’esempio dei “Big Lift”, tra una serie e la sua successiva lo sforzo percepito è molto diverso pur essendo il carico immutato nel caso di serie a carico costante, questo poiché il corpo essendo un sistema basato su feedback e unità motorie, pone dei paletti in programmazioni con costanti. Tant’è vero che a volte per “ingannare” il nostro sistema biologico utilizziamo delle strategie cicliche, poiché ciclizzare gli stimoli pone il corpo sempre in allerta ritardando l’adattamento.
Per comprendere al meglio il lavoro svolto da Borg bisogna introdurre il concetto di carico interno ed esterno di cui tanto si è parlato negli ultimi tempi, aprendo nuovi orizzonti di allenamento come quello istintivo. Infatti ogni serie svolta ha una sua valutazione di sforzo che viene interpretata dal nostro SNC valutando le giuste precauzioni, facendo in modo di adattarsi allo stimolo o di prendere le dovute precauzioni in caso di eccesso.
La scala di Borg
La scala di percezione dello sforzo è un parametro molto attendibile per farci un’idea dell’intensità di un allenamento e talvolta può essere integrata con la registrazione dei parametri di frequenza cardiaca e del VO2max. Infatti se notiamo le misurazioni di questa scala, vediamo che i parametri di riferimento partono da 6 fino a 20 con 15 livelli. Se integriamo queste misurazioni e le compariamo con la misurazione della frequenza cardiaca possiamo notare che la bassa intensità percepita, in questo caso indicata col numero 6 moltiplicata per 10 ci darà lo stesso valore di misurazione dei battiti cardiaci a riposo che in linea di massima si attestano sui 60 battiti. La scala termina con il valore 20 dove viene indicato il massimo sforzo percepito che non può essere sostenuto dal corpo, quindi lavorare a queste percentuali è impossibile! Inoltre è stato visto che c’è una correlazione tra l’aumento di lattato durante lo sforzo e l’intensità percepita quindi all’aumentare della soglia anaerobica corrisponde un valore maggiore della scala. Questa scala viene moltissimo usata dagli atleti che svolgono lavori prettamente aerobici poiché è di facile applicazione durante gli allenamenti monitorati con cardiofrequenzimetro, diverso è il discorso per gli sport di resistenza con carichi dove il gesto va ad inficiare con i parametri (più aumenta il carico, più si sporca il gesto, più la fatica aumenta). Vien da sé che programmare l’intensità in relazione alla percentuale dell’1RM a volte può essere una strategia limitante, infatti così facendo non si tiene conto degli stressor (ambientali, fisici alimentari) che possono portare a far accusare al corpo maggior fatica in relazione al peso. Stessa cosa che intendiamo quando alziamo lo stesso carico in giorni diversi ma apparentemente ci sembra più leggero. La risposta non è solo nel possibile adattamento del corpo al carico ma anche al minor stress percepito migliorando la performance! Altro fattore limitante è che monitorare il battito in atleti che utilizzano farmaci darebbe una misurazione alterate dei valori con conseguente sbaglio nell’interpretazione degli stessi. Quello che ci mostra questa scala è proprio l’evidenza che imparare a percepire lo sforzo e relazionarlo al carico può essere molto più produttivo e stressante per il corpo che massimizzerà i livelli di adattamento. L’Utilizzo base della scala può essere utile in caso non si ha la presenza di una persona che può valutare realmente il degradarsi della tecnica dell’alzata (sappiamo che la visione di un occhio esterno in questo caso è molto più critico) ed utilizzandola come valore di riferimento. In sintesi quando percepiamo che il lavoro svolto ci dà la sensazione di essere tra i 15-17 punti bisogna diminuire o fermare il lavoro (tranne nei casi dove si prevede di lavorare in queste soglie o oltre).
Ultimamente è stata introdotta una nuova scala affine all’allenamento coi pesi chiamata OMNI rivisitata ed utilizzata nell’allenamento da Mike Tuchscherer, ma di questo ne parleremo nel prossimo articolo. La Scala in questione ha 12 livelli che vanno da 0 a 10 con la relazione delle percentuali di carico affine che utilizza nei suoi allenamenti.
Conclusioni
Seguendo le indicazioni di questo metodo è un buon punto di partenza per imparare ad ascoltare il proprio corpo e non incorrere nell’overtraining che tanto fa paura ma che a volte è sopravvalutato. Utilizzando la scala percependo il lavoro sul muscolo che stiamo allenando, possiamo capire quando è il momento di spingere e quando dobbiamo fermarci. Talvolta nella stessa seduta il carico può essere percepito diverso anche se il riscaldamento non è stato fatto a dovere, va da sé che imparare ad ascoltarsi può dare i suoi frutti evitando brutti infortuni. Lavorare in percentuali programmate è un ottimo metodo ma se coadiuvato con la percezione di ciò che si sta facendo può massimizzare la resa. Un carico dell’80% può essere tirato su in modo facile o meno in relazione a quanto siamo pronti nel giorno del WO, quindi modulare l’intensità al momento opportuno può far rendere allenanti quante più serie possibili evitando la frustrazione di non essere riusciti a rendere produttivo l’allenamento!
Articolo di: Lukblack Giorgio.
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