Personalità e Disturbi di personalità: di che si tratta?
Nel linguaggio comune capita spesso di sentire termini quali “narcisismo”, “borderline”, “paranoico”, “ossessivo” etc.
Ma quanti sanno davvero il significato di questi concetti? Quando è lecito e quando meno utilizzarli?
E’ il caso di fare chiarezza in questo ambito psicologico.
Innanzitutto…qual è il comun denominatore di tutti questi termini?
La personalità. Se ci fate caso, questi termini vengono utilizzati quando dobbiamo far riferimento a come è fatta una persona. Spesso e volentieri vengono utilizzati per giudicare qualcuno, per connotarne i lati più spigolosi.
Ma partiamo dall’inizio…
Cos’è la personalità?
Dirlo non è così semplice: l’argomento è stato da sempre affrontato dalla psicologia, producendo termini, teorie e modelli numerosi e molto vari, talvolta anche molto contrastanti tra loro.
La personalità può essere definita come un’organizzazione, coerente e stabile nel tempo, di modi di pensare, sentire ed agire di un individuo. Essa è ciò che rende ciascuno di noi una persona unica nel proprio modo di essere e quindi differenziabile dalle altre, conferendole progettualità, autodirezionalità e modalità relazionali. In questo senso essa può essere intesa come una funzione profondamente adattiva dell’uomo.
Per rielaborare quanto detto, la personalità è ciò che ti rende te stesso, consiste nei tuoi modi peculiari di essere nelle varie situazioni e nel tempo, conferendoti coerenza e unicità.
La personalità si distingue da altri termini (o meglio, costrutti), quali il temperamento e il carattere.
Il temperamento è costituito infatti dalla componente biologica, pre-determinata delle nostre reazioni e si manifesta ad esempio attraverso il nostro grado di reattività agli stimoli ambientali. E' una componente del nostro modo di essere che abbiamo fin dalla nascita. Il carattere invece ha maggiormente a che fare con una componente del nostro modo di essere che si forma in relazione ai valori, agli ideali e quindi all’interazione con l’ambiente sociale e la cultura. E' frutto quindi degli apprendimenti che facciamo nel corso della vita.
Rispetto alle origini della personalità, vi sono approcci teorici diversi tra loro: alcuni studiosi infatti sostengono che essa dipenda maggiormente da fattori genetici pre-costituiti, mentre altri danno maggiore risalto alle componenti ambientali/esperienziali. Altri ancora, invece, sostengono un’interazione tra questi due fattori, ipotesi verso cui stanno convergendo le ricerche attuali.
Parlando di personalità si potrebbe inoltre distinguere tra aspetti consapevoli e inconsapevoli della personalità, si potrebbe parlare di come essa si sviluppi e di come sia strutturata, citando teorie psicoanalitiche e psicodinamiche (Da Freud, Erikson, Jung a Kernberg), teorie dei tratti (Allport, Cattel, Eysenck), teorie psico-sociali (Cloninger), teorie costruttiviste (da Kelly a Guidano)… insomma, spiegare questo argomento senza sposare un modello teorico è alquanto complesso.
Personalità e disturbi di personalità
Proprio per questo, per introdurre l’argomento in modo più “neutrale” possibile, soprattutto per l’aggancio con i termini clinici sopra-citati, farò riferimento al DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali sviluppato dall’APA, l’American Psychiatric Association.
Questo manuale è stato sviluppato con l’intento di essere “ateorico” e basarsi solamente sugli aspetti descrittivi e oggettivi dei disturbi, tuttavia proprio per questo presenta moltissimi limiti che non espliciterò in questa sede.
Secondo il DSM, la personalità consiste in pattern (modi, modalità) costanti che una persona ha di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di sé stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali.
Generalmente queste modalità sono adattive, consentono cioè a ciascuno di noi di vivere in maniera funzionale la propria esistenza, sviluppando relazioni e raggiungendo obiettivi personali.
Cosa succede invece quando la personalità non è adattiva?
Secondo il DSM, si parla di disturbo di personalità quando un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento presenta le seguenti caratteristiche:
A) il pattern devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo in almeno due aree tra:
- cognitività (modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti)
- affettività (varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva)
- funzionamento interpersonale (modi di rapportarsi agli altri e vivere le relazioni)
- controllo degli impulsi
Che cosa significa che devia rispetto alla cultura dell’individuo? Che quel modo di essere e di comportarsi non è stato appreso socialmente, ma è un prodotto autonomo della persona.
B) il pattern risulta inflessibile e pervasivo in un’ampia varietà di situazioni. Che cosa significa questo? Che quel modo di essere, quella modalità di sentire, percepire, relazionarsi e comportarsi si presenta non solo in una tipologia di situazioni, ma in diverse. Per esempio, se ci si comporta in maniera aggressiva solo allo stadio, non si tratta di un pattern pervasivo, ma settoriale. Essere aggressivi sia sul lavoro, che in famiglia, che in altre situazioni invece significa avere una modalità trasversale alle situazioni (e quindi pervasiva).
C) il pattern determina disagio clinicamente significativo o compromissione e problemi in aree importanti della vita della persona; per esempio deve comportare sofferenza nella persona o impedirle di avere un lavoro, una vita sociale o impedirle di “funzionare” in altre aree rilevanti. Per esempio essere talmente precisi e perfezionisti da perdere di vista gli obiettivi sul lavoro finendo con l’essere licenziati può essere un esempio di compromissione lavorativa.
D) il pattern è stabile e di lunga durata, e l’esordio risale all’adolescenza o alla prima età adulta. La personalità si sviluppa durante l’infanzia e si “stabilizza” durante l’adolescenza, pertanto secondo il DSM l’esordio dei disturbi di personalità è identificabile solo da questa fase di vita (esistono poi, secondo diverse ricerche, alcuni precursori identificabili più precocemente). Il pattern, il modo di essere, è cioè presente dalla prima età adulta e rimane costante nel tempo, pur potendo acquisire sfumature di espressività differenti nel tempo.
E) il pattern non dipende da altri disturbi (ma è riconducibile solo alla personalità della persona)
F) il pattern non è attribuibile agli effetti di una sostanza (es. farmaco) o una condizione medica (es. trauma cranico)
Solo quando sono presenti TUTTE queste caratteristiche elencate, si può parlare di disturbo di personalità.
Quindi se avete un amico che quando solo quando va allo stadio è aggressivo, se avete un'amica che al sabato sera si comporta in maniera eccentrica, se avete una persona che per un giorno si è comportata in maniera impulsiva, probabilmente non ha un disturbo di personalità.
Ma quindi, ritornando ai termini "narcisismo", "borderline", "ossessivo"?
Secondo il DSM esistono 10 tipologie di disturbi di personalità, che sono suddivisi in tre cluster o gruppi (A,B,C)
Il gruppo A include i disturbi paranoide, schizoide e schizotipico di personalità. Gli individui con questi disturbi spesso appaiono strani o eccentrici.
Il gruppo B include i disturbi antisociale, borderline, istrionico e narcisistico di personalità. Gli individui con questi disturbi spesso appaiono amplificativi, emotivi o imprevedibili.
Il gruppo C include i disturbi evitante, dipendente e ossessivo-compulsivo di personalità. Gli individui con questi disturbi spesso appaiono ansiosi o timorosi.
Per le specifiche dei singoli disturbi di personalità, si rimanda al prossimo articolo 🙂
Dott.ssa Elena Cernuschi – Psicologa Clinica e dello Sport
Sito Internet: http://www.motivatamente.com/
- American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
- Pervin, L. A., John, O. P., & Porzionato, G. (1998). La scienza della personalità: teorie, ricerche, applicazioni. R. Cortina.
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